Un altro grande maestro, Giorgio Bini, ci ha lasciato il 22 maggio 2015.
Nato nel 1927, maestro di scuola elementare e pedagogista, Giorgio ha lavorato per le Edizioni Conoscenza sia collaborando alla nostra rivista, sia con un libro tutto suo, Lettera a una maestra. È, questo, uno dei suoi ultimi libri, come al solito agile e scanzonato, nel quale parla di scuole e di tempo libero e si sofferma a lungo su questioni essenziali come la lettura e la scrittura.
Di Giorgio mi piace ricordare le sue iniziative politiche e la sua personalità. Eletto per una decina di anni nelle liste del PCI, precisamente dal 1968, fu promotore di molte proposte di legge per la scuola, tra cui quella sull’educazione sessuale, purtroppo mai approvata malgrado le sue battaglie per vincere le resistenze parlamentari. Ma di lui è più bello ricordare la sua verve polemica, sempre garbata ma anche sempre sferzante. Oratore simpatico e accattivante, si divertiva a denunciare, in tono scherzoso, i privilegi dei parlamentari. “Io – diceva sorridendo – non riesco più a pagarmi un aereo o un treno. E sinceramente di tutti questi privilegi, che come parlamentare mi porto a vita, ne farei molto volentieri a meno”.
Personalmente lo ricordo alle riunioni di “Riforma della scuola”: quando lui era presente la discussione assumeva un tono molto più leggero e le sue proposte davano un senso particolare all’impostazione dei numeri della rivista. Sono contento di averlo incluso tra i grandi maestri nel volume Maestre e maestri d’Italia in 150 anni di storia della scuola (Edizioni Conoscenza, 2012). Ricordo infine altri suoi libri importanti, come La pedagogia attivistica in Italia e La scuola dell’alfabeto (entrambi degli Editori Riuniti) e il suo interessante intervento sulla scrittura nel volume Come scrivere un testo, sempre Edizioni Conoscenza, insieme, tra gli altri, a Tullio De Mauro e a Carmine De Luca.
Rileggere oggi le opere o uno scritto di Giorgio Bini è come prendere una boccata d’aria pura in un bosco di montagna dopo che si è stati costretti per mesi a respirare aria di città. La linearità delle sue idee sulla pedagogia suonano nette nel caos e nella superficialità con cui in questo periodo si lanciano parole d’ordine come “buona scuola”.
Ermanno Detti