Dopo la pandemia sarebbe giunto il momento di interrogarsi e scegliere verso quali nuovi orizzonti indirizzare e accompagnare le future generazioni. È un punto cruciale che Fabio Matarazzo snoda mese dopo mese tra le pagine della nostra rivista, quello sull’Università del futuro. Nel suo nuovo articolo, nel numero di marzo/aprile, continua a farlo eviscerando principi fondamentali del programma di Governo per l’Università che, purtroppo, non sembrano ancora andare in questa direzione. Quale sembra essere la prima urgenza della nuova Ministra? L’aumento dei laureati. Come conta di farlo? Ampliando in misura significativa gli accessi, agevolandoli anche con il finanziamento di ulteriori borse di studio e nuove residenze.
Ma, secondo Matarazzo, accanto alle facilitazioni finanziarie ci deve assolutamente essere un adeguamento del bisogno di competenze dell’industria e dei ragazzi stessi. E qui più che finanziare bisogna rendere più flessibile il sistema. Come? Dando la possibilità di introdurre delle novità nei nostri corsi di studio e favorire l’interdisciplinarità. Facendo un discorso chiaro anche su formazione degli Istituti tecnici superiori e delle lauree con sbocco professionale.
Dalle Università potremmo e dovremmo attenderci qualche segnale in questa direzione. Riceviamo, invece, un’attenzione sempre più marcata alle esigenze dell’industria e delle contingenti professionalità. Come se tutto girasse solo ed esclusivamente attorno al PIL. Un’eventuale e auspicabile inversione di tendenza non sembra, per ora, all’orizzonte.
Potrebbe incoraggiarla l’esperienza della pandemia con le sue conseguenze: la stridente privatizzazione dei vaccini nonostante la loro caratteristica di bene comune; l’impegno globale per realizzarli; l’ingente apporto finanziario pubblico di una pluralità di governi. Per questo risultano inaccettabili e molto tristi i tentativi, più o meno palesi e spinti di commercializzazione dei vaccini o di un loro utilizzo geo-politico.
E poi Matarazzo, visto che l’argomento è stato sollevato recentemente dal dibattito in marito ai finanziamenti del Recovery Plan, argomenta a lungo sulla meritocrazia, concludendo che, probabilmente, in una collettività bene organizzata e solidale non basta avere alcune punte di diamante eccellenti per rispondere nel modo migliore alle esigenze dei suoi membri. È il caso della Lombardia dotata, senza ombra di dubbio, dei migliori poli di eccellenza sanitaria del nostro paese messa comunque in ginocchio dal coronavirus.