TTPI, Un rischio incombe sull’Europa. Intervista all’europarlamentare Eleonora Forenza

Un accordo economico che si vuol far passare all’insaputa dei cittadini europei. Avrebbe un devastante impatto sul diritto alla salute e all’istruzione e sulla tutela del lavoro di 560 milioni di persone.
Da fermare a tutti i costi tenendo alta la guardia e rafforzando la mobilitazione

 

Il gruppo della sinistra europea di cui lei fa parte è contrario al Transatlantic Trade and Investiment Partnership (Ttip). Quali sono i punti critici di questo trattato?

Il Ttip non è un accordo commerciale qualsiasi: si tratta di un accordo che, con la scusa dell’abbattimento delle barriere non tariffarie e dell’armonizzazione delle normative, antepone il mercato e gli interessi privati a quelli della collettività e attraverso questo apre a una riduzione degli standard sociali e ambientali, nonché a una significativa riduzione della capacità dei governi di legiferare nell’interesse pubblico attraverso il combinato di meccanismi come la cooperazione regolatoria e il meccanismo di salvaguardia dei diritti degli investitori chiamato Isds.
Inoltre attraverso il Ttip, i grandi gruppi industriali potranno influenzare direttamente e in anticipo il processo legislativo attraverso i meccanismi come i consigli di cooperazione regolatoria, prima che si possano esprimere i parlamenti: tutto questo lo consideriamo inaccettabile.

Nonostante l’enorme importanza della questione, questo accordo sembra essere avvolto da un alone di segreti e misteri: si parla di reading room, di regole e tempi massimi per la lettura delle carte. Perché i documenti sono così segreti?
Perché già nel 2013 l’ex presidente della Commissione UE Barroso, all’avvio delle negoziazioni con gli Usa comprese che la segretezza e il disin- teresse dell’opinione pubblica sarebbero stati elementi chiave per chiudere in tempo il Ttip. Paradossalmente a Bruxelles sono più informati i lobbisti del settore privato dei Parlamentari europei che saranno chiamati a votare il Ttip! Per fortuna il lavoro di Ong europee, reti nazionali e movimenti sociali hanno fatto sì che si creasse un movimento di opposizione crescente al Ttip che ha per la prima volta aperto un dibattito nell’opinione pubblica sui rischi di questi trattati. Sebbene la commissione abbia fatto dei passi in avanti desecretando il mandato negoziale ricevuto dai governi, i negoziati continuano a svolgersi nella più assoluta opacità e per questo continueremo a batterci, perché 560 milioni di persone hanno diritto di sapere cosa è veramente il Ttip e come rischia di cambiare le loro vite.

Nelle intenzioni dei promotori, l’allargamento dei mercati dovrebbe provocare un aumento dell’occupazione snellendo le procedure e favorendo lo spostamento di forza lavoro. Ma di che tipo di lavoro si parla e a quali rischi andrebbero incontro i lavoratori, soprattutto in termini di diritti e tutele?
Si tratta della solita retorica liberista peraltro supportata dai media mainstream in Italia ed in Europa. Rimanendo ai fatti, le proiezioni ufficiali dell’UE fornite dal Cepr nel 2013 prevedono un miglioramento nel tasso di crescita reale del Pil europeo solo nel 2027 (+0,5%), a fronte di una certa e sostanziale riallocazione di posti di lavoro tra Stati Uniti ed Europa, con un impatto negativo nel breve termine e un ipotetico impatto positivo sul lungo termine, ma in realtà ancora da definire e contabilizzare. A oggi abbiamo i dati del centro studi del Parlamento Europeo che sottolineano come l’Italia sia destinata a subire gli effetti più pesanti del Ttip con quasi 300mila posti di lavoro perduti, con guadagni di reddito procapite che non superano lo 0.5%. Il Ttip insomma è ispirato sempre dalla stessa logica di basare il proprio futuro sulla competizione internazionale al ribasso, ovvero smantellando diritti e stato sociale per divenire “attrattiva” per gli investitori e non è un caso che praticamente tutti i sindacati europei e statunitensi siano ferocemente contrari al Ttip.

Uno dei motivi del no è quello che riguarda il cibo e la sicurezza alimentare. In che modo il Ttip, se passas- se, metterebbe a rischio la sicurezza alimentare e la salute dei cittadini? Qualche esempio?
Faccio un esempio a mio parere molto significativo: in seguito allo scandalo mucca pazza, l’Europa si è dotata di un sistema legislativo piuttosto rigido sulla sicurezza alimentare: se c’è un rischio molto elevato che un prodotto possa far male, le autorità possono intervenire in attesa di accer- tamenti scientifici; negli Stati Uniti, invece, vige il principio praticamente opposto, per cui alimenti e procedure sono sicuri fino a prova scientifica contraria, pratica che ha portato ad esempio ad ammettere la sterilizzazione dei polli morti in acqua di cloro, procedimento che non è considerato sicuro in Europa… Ora il Ttip deve trovare un’armonizzazione tra questi due approcci e a rimetterci saremo proprio noi europei che rischiamo di dover rinunciare ai nostri controlli di filiera agroalimentare che non verranno mai accettati dalle grandi imprese agroalimentari statunitensi

Quali saranno gli effetti sugli standard sociali e ambientali?
Disastrosi: le cosiddette barriere tariffarie che il Ttip vuole andare a rimuovere rischiano di essere proprio quello che resta della tutela dell’ambiente e del consumatore in Europa: dai criteri di sostenibilità negli appalti pubblici, a misure in grado di promuovere nuovi processi o prodotti che riducono l’uso delle materie prime non rinnovabili e le emissioni di gas a effetto serra, imprese che tutelino il lavoro dignitoso e i diritti umani e sociali, quali l’opportunità di occupazione, i diritti sindacali, l’inclusione sociale, il commercio etico. Tutte queste “barriere” al commercio rischiano di essere spazzati via dal Ttip.

Per chi è vantaggioso il Ttip?
Sicuramente non per le piccole e medie imprese, che rischiano di essere surclassate da grandi imprese e multinazionali che producono di più e con qualità minore; non per i piccoli produttori agricoli che verranno travolti dalla liberalizzazione dei mercati e neanche per i cittadini, a cui verranno sottratti diritti e partecipazione nel nome dei mercati. Il Ttip  è un accordo disegnato sulle esigenze delle grandi multinazionali che hanno sempre sofferto standard ambientali e sociali e che oggi usano questi accordi come grimaldelli per scardinare la nostra legislazione in tema di diritti dei lavoratori e dei consumatori.

Nell’informazione che circola sul Ttip si evidenzia che i servizi pubblici siano fuori dal tavolo dei negoziati, che non siano in discussione. è proprio così?
Sebbene il ministro Calenda e la Commissione Europea dicano che i servizi pubblici non sono oggetto di negoziazione, a oggi sappiamo che la realtà è ben diversa. Innanzitutto i nego- ziatori hanno adottato una definizione estremamente ristretta di servizio pubblico che esclude servizi la cui erogazione può essere effettuata anche da soggetti diversi dall’autorità di governo e nei quali sia previsto un corrispettivo economico, anche una tantum. Rimarrebbero quindi fuori da questa definizione campi come l’istruzione e la sanità, l’acqua, l’energia, i rifiuti e il trasporto pubblico, in quanto per la loro erogazione è previsto il pagamento di una tariffa e che sarebbero formalmente soggetti al Ttip e a un processo di progressiva liberalizzazione.

Qualora i governi volessero introdurre norme a tutela dei consumatori, le aziende potranno chiamarli a rispondere davanti a una sede arbitrale privata. Ci sarà dunque una subalternità degli Stati alle aziende?
L’Isds darebbe il colpo di grazia alla capacità degli stati di legiferare nell’interesse pubblico. Infatti quegli stati o enti locali che volessero introdurre una regola a salvaguardia del clima, o della difesa dei consumatori, rischiano di essere citati di fronte a una corte arbitrale se vi sia il rischio che quella decisione rechi un danno ai profitti di un’impresa. Se venisse trovato colpevole, quello Stato, Comune o Regione, potrebbe essere costretto a ritirare il provvedimento o pagare una multa salatissima. L’Isds è fortemente voluto dalle corporation americane. La proposta di riforma della Commissione europea con l’introduzione di corti pubbliche al posto degli arbitrati privati è un passo in avanti che non risolve il problema di fondo, fornendo agli investitori stranieri, e solo a loro, la possibilità di aggirare i tribunali convenzionali e scegliere l’arbitrato.

È il primo caso del genere? O c’è qualche “antenato”?
L’Isds è uno strumento presente in un gran numero di trattati di libero scambio e d’investimento: ne risultano circa 3.400 attivi in vari accordi commerciali e la UE da sola ne ha stipulati ben 1.400.

Esistono alternative al Ttip? A cosa potrebbero aspirare i cittadini del mondo colpiti dall’attuale crisi economica?
Il Ttip, insieme al Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement) tra Canada e UE, al Tpp (Tran-Pacific Partnership) tra USa e paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico e al Tisa (Trade in Service Agreement) tra i paesi membro dell’Organizzazione mondiale del commercio, e a tutti i grandi accordi bilaterali nati negli ultimi 10 anni sono la “risposta” sbagliata alla crisi della globalizzazione e degli organismi multilaterali che governavano il commercio mondiale, a partire dal Wto. Noi crediamo che l’Unione Europea debba ripartire da una visione diversa del commercio, basata non sugli interessi di poche multinazionali, ma dal rispetto dei diritti umani, sociali e ambientali e dalla coerenza delle politiche commerciali con temi come democrazia, cooperazione, partecipazione dal basso, giustizia sociale, parità di genere e sostenibilità. A tal proposito sono stata relatrice di un rapporto al Parlamento europeo che prova a indicare una via per trasformare il commercio internazionale in qualcosa di utile per i lavoratori e le donne e gli uomini che popo- lano questo paese.

A che punto sono i negoziati, su quali contenuti si sta trattando e come porterete avanti le vostre ragioni?
Proprio in questi giorni si stanno tenendo gli ultimi negoziati a Bruxelles: la commissione e il governo americano provano ad andare avanti come se nulla fosse; già il governo francese ha preso le distanze per paura delle conseguenze sulle prossime tornate elettorali. Inoltre a oggi rimangono ancora diversi capitoli negoziali dove la discussione è ancora in stallo, tipo i negoziati sul capitolo che copre i controlli di conformità, dove a seguito del “dieselgate” non vi sono più sostanziali progressi. In alto mare sono anche le negoziazioni su patenti e proprietà intellettuale, il capitolo sullo sviluppo sostenibile (lavoro e protezione am- bientale su tutti) e la protezione degli investimenti, dove non è chiara la posizione degli USA sulla nuova proposta Isds/Ics presentata dalla Commissione a fine 2015. Quindi la possibilità che il Ttip salti è molto forte e per questo è necessario tenere alta la guardia e continuare nella mobilitazione, sia dentro il Parlamento europeo che nelle piazze di tutta Europa.

Qual è l’atteggiamento dei negoziatori nei confronti della società civile e qual è l’impatto che questa sta avendo e potrà avere a riguardo?
A fronte di un’offensiva mediatica tesa a smontare la tesi per la quale il Ttip sia un negoziato a porte chiuse, l’atteggiamento è sempre quello di fastidio per chiunque disturbi il manovratore. Abbiamo lavorato moltissimo in questi anni proprio sulla consapevolezza e la partecipazione dal basso e a questo scopo è stato fondamentale lo sviluppo di una forte rete europea contro il Ttip collegata con l’omologa rete della società civile statunitense. Questo ha contribuito in maniera sostanziale allo stallo del Ttip.

Intervista di Luciana Risola

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